“Fai street? Anche tu fai street photography? Sei un fotografo di strada? “
“NO! Certo che no… non mi definirei uno street photographer… Io non sono uno di quelli… la mia è fotografia è….mmmm…concettuale, onirica, urbana, personale, astratta, di ricerca, documentaria, reportagistica, spontanea, introspettiva, dell’anima, del passato, contemporanea, del futuro, aliena… bla bla bla… “
Un tempo non molto lontano, esisteva una nicchia di fotografi che giornalmente scattava foto “strane” le quali stranamente venivano apprezzate in altrettanti strani luoghi, fatti di visioni e outsider…
Non si avevano etichette, ma solo contenuti, espressioni e modi diversi di vedere la quotidianità. In Italia, rare nicchie fatte da visionari dalle grandi capacità espressive (cito i Mignon di Padova per esempio) che già nel ’97 parlavano di street photography.
Quando usci la prima edizione di “Street Photography Now” (2010), qualcosa stava accadendo… un libro collettivo fatto di piccoli e grandi nomi la cui visione all’epoca era “poco interessante” ai molti ma che portava allo scoperto approcci moderni alla fotografia di strada.
Pochi anni dopo, Eric Kim esplodeva in termini di views con i suoi articoli “educativi”, i suoi seminari per il mondo e i suoi contest internazionali che mettevano in luce approcci diversi alla strada… e arrivò il 2011, il mercato italiano fu investito dalla tendenza globale “street” e fu una corsa all’oro!
LA CORSA ALL’ORO
Tutti coloro che avevano una macchinetta fotografica in mano e si trovavano per caso in strada erano divenuti “STREEPHER” e allora BOOOM un susseguirsi di luci e ombre, culi e tette, visi flashati, colori tirati, bianco e nero contrastato e strani interessi per il grottesco, per i cani, per il cibo, per le giustapposizioni, per la gente che cammina per strada e per quelle parti di corpo che come un incomprensibile “Punctum”, apparivano qui e li rendendo fighe le foto….
Si discuteva su cosa fosse e cosa non fosse street, (ndr: allora come oggi qualcuno stenta a comprenderne il significato) e ci si confrontava in modo molto costruttivo… si creavano personalità, personaggi, identità.
In quegli anni le grandi case, fiutando l’affare cominciarono a parlare di Fotografia di Strada…o meglio… di “Fotografia”…quella fotografia fatta… udite udite… di “Tempi e Diaframmi“… che nello stesso modo in cui il progresso li aveva celati nei meandri di menu digitali, adesso, lo stesso progresso li riportava in auge con ghiere e cursori esposti nel corpo macchina.
E quindi? Arrivarono le e-Zine, i Collettivi, i Book, i Festival, i Workshop, le Call, i Contest, i Concorsi, e intorno… accessori, borse e tutto il merchandising per divenire il perfetto fotografo di strada!
…E FU PIATTUME!
E come ogni cosa… poi arriva sempre la massa, il conformismo… si quella becera logica di incapsulare tecniche e stili in regolette ripetibili e standardizzabili: le immagini ad effetto iniziarono a perdere la loro originalità, le tecniche furono imparate e una valanga di foto “wow” saturò i social…
– ma… dov’è?
— Chi?…
– il contenuto?
— Il che?
– Si il contenuto… hai fatto questa bella foto… ma cosa mi vuoi raccontare, perchè l’hai fatta? E’ la tua visione del mondo? Ci sono altre foto? C’è una serie? C’è un discorso autoriale? C’è un progetto?
— Mmmmm ma di che parli… ho 900 like!
IL NEGAZIONISMO FOTOGRAFICO
Credetemi, la fotografia di strada, come qualunque altro approccio o genere necessita di contenuto, è un mezzo di comunicazione che nasce dal nostro intimo e con esso prende forma attraverso la nostra visione del mondo.
Mi è capitato di sentire qualcuno “rinnegare” quell’etichetta da fotografo di strada, che con fierezza è stata esposta come simbolo di una visione. Io, personalmente, penso che un fotografo di strada, uno streepher, lo è sempre, in qualunque momento… la fotografia di strada è l’espressione ultima di un modo di vivere e di vedere, di interagire e rifugiarsi col mondo e nel mondo mostrando la sua meravigliosa (a)normalità.
Nello stesso modo, mi duole il cuore vedere rilegare la poliedricità di espressione tipica della fotografia di strada in formalismi estetici standardizzati e privi di contenuto.
Ho rischiato più volte di essere travolto e ammaliato dal fascino dell’estetica fine a se stessa… ma alla fine l’ho sempre rinnegata e combattuta tra alti e bassi, tra ricerche e studi, tra crisi ed exploit creativi… solo per comprendere io stesso quale fosse la mia visione…
SE AMATE LA FOTOGRAFIA DI STRADA, Allora…
Andate oltre alle etichette, andate oltre ai formalismi, utilizzate la vostra tecnica come supporto semantico alla vostra comunicazione. Il resto lasciatelo agli altri.
Non vergognatevi mai di osare o di sbagliare, sono gli errori che ci permettono di crescere e le cadute di rialzarci. Sperimentate, ma raccontate, chiedetevi sempre perchè… il come diverrà naturale con la pratica.
Buongiorno, sono d’accordo. Anche se l’etichetta continua a non piacermi. I negazionismi poi, probabilmente sono gli stessi che sbandieravano l’etichetta a suo tempo. La fotografia di strada esiste ed è sempre esistita fin dall’apparizione della fotografia stessa. Chi la pratica, la pratica e basta non sbandiera, non millanta. Ah , il collettivo Mignon è di Padova non di Trieste. Grazie e complimenti.
Grazie! Anche a me le etichette non piacciono, le ritengo troppo restrittive e spesso vincolanti, in modo ovviamente inutile.
Lasciamole attribuire a chi non ha altro da fare, noi… continuiamo a fotografare con passione e ricerca autoriale 😉
PS: Grazie per la correzione sulla città del collettivo Mignon!
Ciao Andrea,
seguo da un bel pò il tuo blog e ti dico che anche io tutti i giorni parlo di questo argomento. Non capisco perchè oggi dobbiamo chiuderci in un etichetta che ci limita in tutti i sensi. I social sono stati un pro e un contro e non parlare delle silhouette.
Quello che ripeto è che tocca a noi alla fine pulirci e andare avanti con la nostra sperimentazione, sbagliando e imparare dai nostri errori. Le tre domande scomode che hai scritto alla fine bisognerebbe attaccarle in un manifesto.
Buona Luce
Emanuele
GRAZIE! SI Effettivamente potrebbero divenire un “Manifesto” di una visione fotografica 😉
Un articolo interessante. Soprattutto perchè questo fenomeno ha più a che fare con la moda, intesa come tendenza che è stata cavalcata dall’utente medio, sbagliando probabilmente l’approccio alla fotografia. Ma penso che sia solo un tipo di moda cui abbiamo fatto caso grazie all’espansione dei social. Un altra strana abitudine che pure io avevo nei primissimi anni di possesso della macchina fotografica, era scattare dettagli di cose. Dettagli inutili, maniglie, legni vissuti, chiodi. Tutte cose che facevano da scusa per una foto con effetto bokeh. Ed era uno dei momenti dove la street ancora non era cosi diffusa come già racconti nell’articolo. Una mia era personale di cui ora mi vergogno.
Questo mi ha insegnato che nella fotografia, come in ogni settore, non si può imparare a far bene senza una minima base di studio, di indagine. E basterebbe un ora di confronto con un grande fotografo per rendersi conto di quanto è chiusa la nostra mente.
Ciao Matteo,
Grazie per il commento e la condivisione!
Sono d’accordo con te in tutto, tranne per una cosa: non vergognarti mai delle “Ere personali”; in ognuna di queste fasi impariamo in modo più dettagliato un particolare aspetto o funzionamento del mezzo fotografico. Questo ci sarà poi utile nel nostro intero percorso.
Il confronto è sempre motivo di crescita, per tutti 🙂