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Sono sempre un po’ distante dal mondo della fotografia “convenzionale”, quello fatto di circoli, club, associazioni, federazioni, quello fatto da fotografi professionisti, redattori, curatori, editori… insomma sono sempre un po’ distante da quel mondo fatto da persone che di fotografia “campano” e che vivendo di fotografia sono in costante attività per diffondere, emergere o farsi largo tra una marea di competitor.

Ho sempre considerato la fotografia o meglio la fotografia di strada come un percorso di arricchimento culturale ed umano, un percorso fatto di condivisione e crescita comune… per certi versi questa mia distanza prescinde il mezzo e allontana l’arrivismo, permettendomi di godere, a volte in modo egoistico, di quegli aspetti più intimi che questa forma d’arte regala… in silenzio e senza far rumore, nella quiete del mio studio.

Questo mia condizione mi permette anche di osservare come si muove il mondo e di farmi un’idea, ovviamente personale, di ciò che funziona e ciò che non va, mi permette di avere una visione più o meno oggettiva di tante azioni e delle loro reazioni e di non farmi offuscare la mente da quel fumo mediatico che il marketing o la capacità di comunicazione o denigrazione di alcuni produce.

DSCF8744 750x500 - Quanto siete liberi... di fotografare? - fotostreet.it

E allora, vedo gente che critica la casacca vestita fino ad un attimo prima, gente che toglie le amicizie sui social o che va in cerca di nuove e più strategiche, vedo gente che insulta e offende e gente che smette di soffermarsi sul valore delle immagini giudicandole a prescindere dal loro contenuto, senza andare a fondo e capire i perchè della loro realizzazione. Vedo gente che emula o che si sente imitata, gente che lucra senza scrupoli e gente che si offre senza remore, vedo eventi sinceri e manifestazioni ingannevoli.

Pensavo di essere ingiusto nel vedere e/o pensare ciò, ma poi ho appurato che questo pensiero è condiviso da molti. Molti, piccoli e grandi che pur non dicendolo apertamente perchè “è sempre meglio non dire“, pensano queste cose intimamente e si animano quando qualcuno “ascolta” i loro perchè. Qualche tempo fa parlando con Giuseppe Pons sulla libertà di dire e fotografare sono stato invogliato ancor più a scrivere questo articolo sulla libertà fotografica, il quale è da considerarsi, più che una scrittura a quattro mani,  un pensiero condiviso di una parte di amatori e fotografi di strada raccolto nel tempo.

MA QUANTO SIETE LIBERI…DI FOTOGRAFARE?

Ebbene, si… questa volta uso il plurale, con tutta l’arroganza che una tale forma possiede! Mi sono chiesto, cosa scatta nella testa di un “Fotografo” per creare post che generano pregiudizio, denigrare questo e quell’altra foto, contest, concorso, evento al fine di esaltare i propri? Cosa scatta nella testa di un fotografo per bramare follower e I likes al punto di comprarli ? Cosa induce un Fotografo a immolarsi in nome di un marchio nella consapevolezza delle sue evidenti incogruenze? Cosa passa per la testa di un “Fotografo Professionista”, di quelli con tutte le lettere maiuscole o pseudo tali per esporsi in posizioni spesso contraddittorie al proprio operato o al proprio modo di fotografare?

Lucro? Interesse? Fama? Pressione da parte del brand posto sulla maglietta? Invidia? Senso di inferiorità? Senso di onnipotenza?

 

Scrivo da anni su questo blog e la fortuna mi ha permesso di incontrare, conoscere ed interagire con tanti veri Fotografi, Curatori, Galleristi… da quelli che vengono preceduti dalla fama di produzioni pazzesche a quelli che con una grande fama sociale mascherano una modesta produzione.

Ammiro chi produce cultura, workshop, esperienze, libri, non biasimo quei professionisti che si fanno pagare fior di quattrini per il tempo e le energie che dedicano alla formazione o alla loro produzione… è un dovere morale di chi ne usufruisce onorare il loro tempo, ma è anche un dovere etico da parte dell’autore restituire la propria esperienza e cultura senza mai limitarsi, al fine di far crescere gli altri e magari crescere insieme.

Scrivo sulla condivisione delle informazioni e della conoscenza da anni perchè so che alla fine impari sempre da tutti, perchè nel bene e nel male devi sempre obbligarti a farti piccolo, per non smettere mai di crescere… e alla fine impari che le persone sono da giudicare solo dalle loro opere piuttosto che dal rumore che riescono a fare.

Dunque ritornando al nostro quesito iniziale, mi sono detto o meglio ci siamo detti: “ma l’amatore quanto il professionista è veramente libero, di dire, esprimere  e comunicare con la propria fotografia? Il fragore mediatico è veramente meritocratico e fatto di nobili finalità o ha risvolti più squallidi? Quanto l’illusione di appartenere a qualcosa condiziona il suo operato?

workshop catania007 760x500 - Quanto siete liberi... di fotografare? - fotostreet.it

Catania-2017 – leica m6 – kodak trix

 

E allora chiedo a tutti voi fotografi, quanto siete disposti a sacrificare della vostra dignità, individualità, visione ed integrità per raggiungere il vostro successo? E una volta raggiunto tale successo, sarete veramente soddisfatti di essere quello che qualcun altro ha voluto?

Basta fermarsi su questi pochi quesiti per iniziare a vedere:

  1. Gente che ancora nasconde il proprio display per non far vedere le proprie foto al competitor
  2. Gente che cancella gli Exif per non mostrare come una foto sia stata fatta
  3. Gente che lotta per Nikon, chi si Immola per Canon, chi fa marchette per Fuji, chi perde la testa per Leica
  4. Gente che spaccia la mediocrità per eccellenza
  5. Gente che Organizza Festival con “finalità di lucro” spacciandole per finalità di “scouting”
  6. Gente che Illude con concorsi fotografici dalle giurie di prestigio per truffare sia i giudici che la speranza dei partecipanti
  7. Gente che Improvvisa workshop trasmettendo solo la prefazione di libri scritti male
  8. Gente che crea pseudo collettivi per spingere i propri affari
  9. Gente che vede in foto l’arte, farcendola di belle parole in cambio di lauti compensi
  10. Gente che trasforma le proprie settimane vacanze in reportage impegnati
  11. Gente che davanti alla bellezza trova il “punctum” ma per denigrare il lavoro di qualcun altro

Be’ oggettivamente e sinceramente parlando, questo tipo di “gente” a me, come a molte persone con cui ho avuto il piacere di confrontarmi, ma che non hanno spesso voce, non piace! Perchè infangano e sporcano un’arte nobile come la fotografia, annichiliscono la crescita e la voglia “umana” di confronto e allontanano più che unire le persone da quella che potrebbe essere definita la pratica più democratica dei nostri tempi.


ECCO COME LA PENSO:

Se scopro qualcosa la devo raccontare a qualcuno! Non devo provare vergogna nel dire “non lo so”, “non lo sapevo”, “non so farlo”… SIAMO UMANI…. ma se chi ha fatto qualche passo in più di noi ci volge le spalle e non da risposta ai nostri quesiti, ma a cosa servono quei passi in più? A spillarci i soldi per l’ennesimo workshop? A venderci l’ennesima e poco efficace produzione editoriale?

Come al solito, chiedo venia per la passione e spesso la rabbia con cui scrivo, forse perchè i miei passi sono stati sempre fatti con difficoltà e sudore, forse perchè mai alcun “mentore” mi ha svelato questo o quell’altro trucco del mestiere… non lo so, ma vi prego cercate sempre di essere liberi dagli schemi che i sistemi mediatici ci impongono.

Non esiste una foto giusta o sbagliata esiste solo una visione diversa o una incapacità ad esprimerla, dunque se potete migliorare con le vostre parole le difficoltà degli altri, fatelo! Se potete condividere le vostre scoperte e i vostri errori non abbiate timore e vergogna… anche Capa ha “cannato” le sue foto, Anche Winogrand ha i suoi scatti non riusciti e Bresson i suoi momenti mancati.

La Magnum ha impiegato 50 anni a far uscire i Contact Sheet  e questa scelta ha mostrato come l’umiltà di svelare i propri errori abbia reso ancor più grandi i suoi fotografi.

La condivisione, l’umiltà e la libertà dagli schemi e dalle imposizioni mediatiche è l’unica cosa che vi porrà in una condizione di assoluta libertà di espressione fotografica. Non dobbiamo aver paura di sbagliare, non dobbiamo aver paura di chi apparentemente ci imita, non dobbiamo aver paura del giudizio altrui se questo è dato in modo oculato e sapiente, accendete il cervello, studiate, pensate con la vostra testa e condividete la vostra visione con il mondo.. e se qualcuno inizierà a seguire le vostre orme, porgetegli la mano e continuate insieme, almeno così il tragitto sarà meno noioso.

Alla prossima.
Andrea, Giuseppe Pons e tante altre voci silenziose.

 

8 Comments

  • Massimo Malagoli ha detto:

    Ho letto con ammirazione ed attenzione questo articolo. Pensavo di essere “fuori dal coro”, isolato e deriso per le mie idee diverse dalla “massa”, invece realizzo che ci sono altri VERI amanti della fotografia che la pensano allo stesso modo. Felice di averti letto, e di seguirti in futuro. Grazie Massimo

    • Andrea Scirè ha detto:

      Lusingato! Grazie per aver letto l’articolo, spero troverai altrettanto interessanti anche gli altri.

      Andrea.

  • Arth Abrax ha detto:

    E’ la storia dell’Umanità quella che racconti. Credo infatti che queste piccolezze umane sia possibile trovale in tutte le attività umane, in ogni tempo e luogo. Sul senso di fare fotografia ci sto rflettendo da parecchio tempo anche io, mediocre fotografo dilettante, ma veramente innamorato dell’arte fotografica, che è una commistione, un compendio direi fra gli aspetti più profondi della psiche umana e quelli più concreti della tecnica scientifica. Un fotografo è un poeta che impiega mezzi meccanici, forse -si potrebbe pensare- la realizzazione più riuscita del futurismo.
    Noi, in una immagine prodotta, possiamo vedere qualcosa che esula dalla funzione prettamente pratica del vedere: vediamo il sogno, l’immagine fotografica è un sogno ad occhi aperti.
    Ed è nel sogno che può nascere il bello o il brutto, in base a ciò che una immagine, nel nostro caso una fotografia – ma la cosa non cambierebbe se usassimo dei pennelli – è in
    grado di suscitare in noi.
    Il bello o il brutto sono chiavi di accesso al nostro io più profondo, che solo poeti e mistici sono in grado di descrivere, ma mai completamente; e questa mancanza di accesso al nostro io più profondo, questo senso di incompletezza della nostra anima vuole essere colmato dal ritmo, dall’armonia delle forme e dal colore.
    Una brutta fotografia, spesso affermiamo è quella
    fotografia che non dice niente, ma può anche essere quella fotografia in cui non si riesce o non si vuole entrare.
    il punctum bartesiano in definitiva non si trova nel’immagine, ma in chi la osserva.
    Grazie dell’articolo, Giovanni

  • Salvatore Monaco ha detto:

    Condivido pienamente. Personalmente mi trovo nella posizione di quello che deve imparare, e guarda quelli bravi con la speranza di capire dove sta sbagliando. Seguo, non troppo da vicino, un’associazione giusto per fare qualche uscita. Questo mese invece pensavo di fare un’uscita street con un noto professionista, spesa modica. Le tue riflessioni, però, mi fanno riflettere sull’effettivo valore di queste affiancate, tenuto conto che non conosco personalmente i “maestri”

    • Andrea Scirè ha detto:

      Ciao Salvatore, grazie per il tuo commento.
      Le “uscite street” fanno sempre bene, se il “docente” è bravo saprà ben indirizzare la tua visione e tornerai a casa con tanti dubbi sul tuo approccio ma con una via da seguire più chiara. Se il docente non lo è… be’ trarrai le conclusioni da solo 😉 Tutto si basa sulla capacità del docente di trasferire le sue conoscenza e dalla tua predisposizione a farle proprie.

      Buona Street 😉

  • enricolabiancae ha detto:

    Se mi permetti vorrei aggiungere la mia voce alla vostra. Con coerenza verso me stesso.

    • Andrea Scirè ha detto:

      Enrico! Il tuo supporto ci onora ed è fortemente gradito.
      Grazie 😉

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