Qualche settimana fa ho avuto modo di incontrare Agata Petralia, una giovane curatrice siciliana con una grande sensibilità artistica e con una visione della fotografia diversa dai convenzionali standard “isolani”….
PREMESSA
05 Febbraio, ore 19:00 decisi di andare a Catania per via della festa di Sant’Agata e come spesso accade pubblicai un piccolo post su facebook riguardo le mie intenzioni… 30 secondi dopo mi scriveva Agata (Petralia) proponendomi di passare al 2Lab (centro creativo e artistico catanese) per un saluto e per vedere la mostra da lei curata. Nonostante il centro fosse già chiuso (era già sera) e vista la sua disponibilità, decisi di cogliere la palla al balzo…
gustare una mostra nel silenzio di un centro vuoto e fermarsi a parlare di fotografia è sempre una gran bella cosa.
La mostra era un reportage di Davide Palmisano e Manuela Marchetti, realizzato in Iran nella primavera del 2015; molte foto evocavano il “silenzio”, un silenzio fotografico in cui ci si perde, quel silenzio di luoghi e forme in cui si spazia con gli occhi e col cuore, un silenzio che comunica senza proferir parola… e proprio sul silenzio fu poi incentrata la piacevolissima chiacchierata fatta con Agata, che quasi ci faceva dimenticare il rumore della festa fuori.
Quella chiacchierata mi ha fatto pensare ai silenzi “artistici” delle opere di Giovanni Chiaramonte, di Niedermayr e a tutte quelle immagini in cui il “silenzio” dei luoghi diventa potente strumento di comunicazione.
IL SILENZIO INUTILE
Il silenzio che avevo visto, di cui avevo parlato era un silenzio ricco di spunti di riflessione, forme e contenuto, se pur acerbo per alcuni versi, profondo e struggente per altri… ma pur sempre un silenzio “utile” e costruttivo…
Recentemente ho letto un libricino di Gigliola Foschi “Le fotografie del silenzio – Forme inquiete del vedere“, riflessioni sul silenzio in cui l’autrice contrappone al silenzio artistico ed evocativo di immagini forti il silenzio “inutile” e “vuoto” derivante dalla valanga di immagini che ogni giorno osserviamo. Ecco la street photography non è esente da questo silenzio inutile.
Gente che cammina per strada, ombre, giustapposizioni, flashate, close up… meri esercizi di stile che riempiono blog, social, gallerie e giornali… tutti rigorosamente osannati come “STREET PHOTOGRAPHY”!
OK, è vero che non è possibile dare una definizione di street che non sia troppo limitante e restrittiva, ma è anche vero che prima di scattare una foto dovremmo almeno pensare al perchè la scattiamo. Comunicare, Emozionare… cosa vogliamo trasmettere con le nostre immagini? Cosa cerchiamo, cosa osserviamo… insomma perché lo facciamo?
Nella mia continua ricerca di perché spesso mi soffermo a riosservare con attenzione quelle foto che solitamente bloccano il mio dito dal continuo scroll di pagina… perché mai mi soffermo di più su uno scatto rispetto ad un altro? Perchè mai alcune apparenti banali foto mi colpiscono e si fissano nella mia mente rispetto alle migliaia di altre foto?
Un colore, una forma, un gesto… ecco si… ritengo che qualsiasi Punctum è buono per far la differenza tra una immagine silenziosa che passa apatica davanti ai nostri occhi e quell’immagine in cui i nostri occhi si perdono senza più saper andar via.
PERCHE’ FOTOGRAFATE? PERCHE’ SIETE ATTRATTI DALLA STREET?
Ecco due domande semplici dalla risposta complessa!
Al di la di quale sia la vostra risposta, quello che penso è che porsi tali domande prima di uno scatto contribuisca fortemente alla riduzione del numero di immagini “inutili” capaci di riempire giga nei nostri hard disk e affollare social e gallerie online.
Magari basta solo quel “perché?”, per portarvi alla produzione di immagini con contenuto interessante e personale capace di urlare la vostra visione nel silenzio della banalità.
Io da un po’ ho iniziato a chiedermelo molto più spesso, ho iniziato a scattare molto meno e ad ottenere maggior soddisfazione personale da quei pochi scatti portati a casa. Questo mi basta, per il resto rimango in silenzio 😉
NB: Dimenticavo… poi sono andato in giro a fare qualche scatto anch’io 😉