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Quattro anni fa per una festa di paese ho effettuato circa 1000 scatti e alla fine ho ottenuto una serie di 12 foto buone (cinque delle quali presero una menzione al PX3); nel corso dei mesi successivi ho letto, ho studiato, sono più volte entrato in crisi. L’anno successivo per lo stesso evento ho scattato circa 500 foto, da un altro punto di vista, e ho ottenuto sempre 12 scatti buoni (altra menzione);  ho continuato dunque a leggere e studiare e a rientrare in crisi…  un anno fa per lo stesso evento scattai circa 144 foto (4 rulli da 36) ottenendo nuovamente 12 foto buone. Quest’anno sono tornato a casa con un solo rullo da 36.

Fino a qualche tempo fa ritenevo che l’economia del digitale aumentasse la facilità di scatto, pensavo che, essendo il costo foto pari a zero, si scattasse senza pensieri, senza timore nell’utilizzare una raffica lunga quanto un intero rullo analogico…ma…

MI SBAGLIAVO!

andrea scire nyc 0001 712x500 - Dimmi quanto scatti e ti dirò chi sei - fotostreet.it

Quando ho iniziato a fotografe in solo analogico, come più volte scritto, ho iniziato a scattare di meno e a riflettere di più.

Fino a qualche tempo fa ritenevo che la mia sempre più crescente penuria di scatti fosse determinata dalla volontà di non “sprecare” cellulosa inutilmente, ma non era così! Dunque cos’era cambiato? Come mai pur uscendo con la borsa piena di rullini, alla fine scattovo comunque poco?

LA CONSAPEVOLEZZA

Quello che nella mia riflessione iniziale non ho preso in considerazione, è l’incessante documentazione, l’approfondimento e l’autocritica che è intercorsa tra le session di scatto. Più ho letto, più ho analizzato le immagini degli altri, più ho denigrato e analizzato i miei errori, più ho preso consapevolezza di ciò che mi piace e ciò che non mi piace, di ciò che riflette la mia visione e di ciò che, se pur ben composto e gradevole, riflette la visione degli altri. Ho imparato a distinguere ciò che fa vibrare le mie corde, ho imparato a pre-visualizzare gli esiti e soprattuto a fotografare nel modo che più riflette la mia personalità.

Penso dunque che il mezzo utilizzato e le sue possibilità di scatto non centrino nulla con la capacità di cogliere e comunicare la propria visione del mondo… tale visione la cogli con i soli tuoi occhi… bisogna però imparare a vederla e a catturarla nel momento giusto!

Ho capito che la riduzione del numero di scatti dipende esclusivamente dalla  propria capacità di vedere e dalla padronanza del proprio strumento tecnico… dunque più che affidarsi alla sorte o al caso dei grandi numeri perchè non concentrarsi solo sulla consapevolezza di visione e di scatto? Sicuramente i vostri hard disk (se scattate in digitale) e le vostre tasche (se scattate in analogico) ne trarranno vantaggio.


IO? COME UN CANE IN GABBIA.

andrea scire nyc 023 750x500 - Dimmi quanto scatti e ti dirò chi sei - fotostreet.it

Su questa riflessione, alla fine sono ripiombato nuovamente in una nuova e profonda crisi fotografica!

Quest’estate ho scattato poco… molto poco… veramente poco….non ho trovato nulla che stimolasse il mio interesse e la mia visione, non ho assaporato più quell’adrenalina che mi pervade il corpo quasi a mandarmi in estasi fotografica, non ho trovato nulla da raccontare che facesse veramente vibrare le mie corde…  ma se non mi emoziono non scatto, se nulla mi coinvolge non scatto.

Allora, mi sono rifugiato in letture e approfondimenti tecnici e stilistici che hanno indotto a riflessioni ancora più profonde, che mi hanno reso ancor più esigente ed egoista a tal punto da perdere interesse nella continua competizione mediatica portandomi a ricercare sempre più me stesso.

Se siete giunti fin qui… non troverete la  risposta al quesito iniziale… ma solo un’altra domanda:

Scattare poco, significa forse sapere cosa si sta cercando o
semplicemente non aver nulla da dire?

 

Alla prossima.

9 Comments

  • Giuseppe Pons ha detto:

    Ciao Andrea, caro amico mio; non so se sono d’accordissimo con te questa volta. Io sono dell’idea di Winogrand,”NEL DUBBIO SCATTA”, probabilmente lui è il primo vero fotografo digitale. Credo che se la situazione si presenti interessante si debba scattare molto di più di una singola foto per poi scegliere la migliore inquadratura indipendentemente da supporto. Per fotografi meno accorti sicuramente il passaggio dal digitale alla pellicola aiuta nella scelta della situazione da registrare sulla pellicola e da “testimoniare” perché la pellicola costa…
    Ma ti assicuro se uno è fotografo dentro come te scatta bene e giusto sia con digitale sia con chimico.
    Sicuramente tu l’avrai letto, ma ho trovato una traduzione dell’articolo di “Kim” che penso tu possa condividere e invito tutti a leggere: https://medium.com/@pescod/10-cose-che-garry-winogrand-può-insegnarvi-sulla-street-photography-54d1971f7160
    Un abbraccio. Ciao, Giuseppe

    • Andrea Scirè ha detto:

      Ciao Giuseppe, anch’io sono dell’idea che nel dubbio si deve scattare e come scritto non é una questione di supporto di memorizzazione, analogico o digitale, ma una questione di attrazione emozionale verso ciò che ci accade intorno… Per il momento trovo poche cose che mi fanno vibrare inducendomi allo scatto

  • Giovanni ha detto:

    Grazie a te Andrea per gli stimoli e le riflessioni che ci proponi…

  • maurizio locatelli ha detto:

    ormai questo blog è diventato un appuntamente abituale e ancora una volta mi ritrovo in pieno nella riflessione pubblicata.
    Aggiungo solo che la fotografia per me è essenzialmente testimonianza e il fotografo un testimone privilegiato; ma senza partecipazione si può essere tutt’alpiù spettatori, non testimoni. Questa è la ragione per cui a mio parere a ogni crisi segue una riduzione della produzione. Quando ci si scopre spettatori e non testimoni, non ci si sente più coinvolti e l’atto di scattare scade, nella migliore delle ipotesi, un mero esercizio di stile.
    Questa primavera mi sono immerso in una casuale leggera lettura di viaggio, un libercolo edito nell’agosto del 1901, in cui mi sono immedesimato così profondamente da essermi immaginato al fianco del protagonista con la mia fida xt1 in preda a una frenesia da scatto per cotruire il mio/nostro racconto fotografico. Ad agosto avevo deciso di dedicare una decina di giorni per ripercorrere quell’itineriario sul mio Appennino modenese; forse avrei scattato molto, forse poco… invece ho scattato nulla! Perchè c’è stato un impedimento tecnico: dal 1901 a oggi la viabilità è notevolmente cambiata e non avrei ripercorso il medesimo itinerario. Non avrei partecipato ma al più sarei stato lo spettatore di uno scenario che d’altronde già conosco bene. Allora ho deciso di intraprendere un percorso di ricerca filologica al fine di ricostruire in maniera il più possibile verosimile il medesimo itinerario. Ci vorranno carte tecniche e stradari d’epoca, magari di più epoche per esplorare in dettaglio l’evoluzione della viabilità del tettitorio. Ci vorrà molto studio e molta riflessione, ci vorrà molto tempo, forse non basterà un anno per ricostruire e ripercorrere un itinerario che allora richiese, al traino di un calesse con cavallo, una settimana in sette tappe giornaliere. Ci vorrà anche una certa fatica in sella a una bicicletta (mezzo che ho scelto perchè il più vicino alle caratteristiche di quello impiegato allora); ma soprattutto ci vorrà una certa dose di partecipazione. Sono abbastanza certo che alla fine, se sarò riuscito a portare a termine il progetto, avrò scattato poco, non più di una dozzina di foto per tappa (anche perchè la fatica sarà stata tanta), ma avrò certamente partecipato e testimoniato.
    Buona luce…

    • Andrea Scirè ha detto:

      Ecco partecipazione… una semplice parola che in se esprime tutto la complessità di azioni ed emozioni che girano intorno ad una foto.
      Inizio sempre più a pensare, che per chi come noi ama la fotografia, quest’arte sia il motore della nostra esperienza.
      Grazie e in bocca al lupo per l’interessante progetto 😉

  • Marco Brunetti ha detto:

    Leggo sempre i tuoi articoli e ho letto anche il bello e lungo commento di Giovanni. Quindi complimenti a entrambi. In effetti quello da te descritto dovrebbe essere il percorso di ogni appassionato di fotografia.

    • Andrea Scirè ha detto:

      Grazie Marco, e grazie per aver utilizzato il termine “appassionato”…
      è proprio la Passione che move tutte le cose! 😉

  • Giovanni ha detto:

    riporto qui uno stralcio di una mia lettera: … una delle
    funzioni primarie della fotografia: descrivere, mostrare quanto più simile
    c’è del reale. Se ci pensiamo bene, il reale non è fatto solo di forme e proporzioni, ma
    anche di sensazioni, relazioni, emozioni; e queste come è possibile
    esprimerle visivamente?
    E ancora più difficile: come posso esprimerle in maniera originale, senza
    ricorrere al già detto?
    Per semplificare devo ricorrere ancora alla poesia, ma potrei parlare di
    musica, o di narrativa, il senso resta invariato.
    La poesia parla di stati d’animo e di modi di essere rapportati al contesto;
    qualunque poesia se ci fai caso parla di questo; e quindi cosa cosa cambia, cosa le rende differenti? Cambiano le parole, le immagini che queste riportano, il ritmo direi sonoro che queste contengono: “sempre caro mi fu…” è una panoramica, come “quel ramo del
    lago…” anche questa è una panoramica, e se andiamo a cercare ne scoveremo
    infinite altre; poi ci sono le istantanee, di cui i giapponesi sono maestri:
    “la rana nel vecchio stagno: plop” ma anche il nostro Ungaretti con
    “trafitti da un raggio di sole, ed è subito sera” altra istantanea.
    Per non avventurarmi in un territorio dove rischio di non uscire più, mi
    fermo qui; penso che il senso di ciò che volevo dire sia chiaro: la poesia,
    come tutte le espressioni artistiche, compresa la fotografia, non è altro
    che espressione-comunicazione delle sensazioni -relazioni di cui parlavo
    prima.
    L’essere umano però è anche funzionale, vuole la funzionalità; tralasciando
    la funzionalità delle arti in genere, che stanne certa, c’è ed è stata ed è
    tutt’ora impiegata, la fotografia alle sue origini nasce solo come
    espressione funzionale, che ancora oggi è la sua caratteristica principale:
    con la fotografia si vendono prodotti, mostrandoli come sono e se possibile
    più belli (guarda una rivista di moda o di arredamento, per citare qualche
    esempio).
    Ora, la domanda delle domande: perché, diciamo un nome a caso: Ghirri è più funzionale di
    altri? Perché lui ha fatto copertine di dischi che io e te non saremmo stati
    in grado di produrre? Oppure, altra domanda: gli stessi dischi con una
    nostra copertina avrebbero venduto le stesse copie?
    ….questa è la mattinata delle domande senza risposte, domande forse
    sciocche; anche se spero di no.
    In realtà Ghirri ha poposto una visione originale della realtà, è inimitabile perché non ha imitato nessuno; ma noi, con le nostre immagini fatte a raffica, riusciamo ad essere inimitabili e a non imitare nessuno?
    Il fatto è che con il
    moltiplicarsi delle immagini cadere nelle imitazioni è inevitabile; mentre
    cercare di mantenere, o meglio trovare un proprio stile espressivo è la
    parte più difficile della fotografia.
    Ghirri aveva scoperto una luce; e questa era la sua cifra espressiva; altri
    fotografi avevano scoperto i rapporti di colore o del bianco e nero, altri
    ancora le forme; alcuni sono famosissimi, altri conosciuti meno.
    La fotografia digitale ha moltiplicato il popolo della fotografia, e non necessariamente ha abbassato la qualità della fotografia; solo le immagini viste si sono moltiplicate in maniera esponenziale (argomento trattato anche da Ghirri) e più che essere la fotografia ad essere inflazionata è il nostro processo visivo che non è in grado, non può sopportare l’enorme quantità di immagini a cui è sottoposto.
    Tutto, in un certo senso, appare già visto, perché è sicuramente già visto!
    Trovare la propria cifra espressiva, il proprio stile, è il compito più arduo di un fotografo.
    Vale il sesto senso di Scott Kelby, che ti confesso non conoscevo che in qualche modo viene definito, in parole molto povere “manico” ovvero la capacità di vedere fotograficamente prima dello scatto.
    Lui suggerisce di scattare di continuo, fino a quando si trova la luce giusta, io invece penso che la luce giusta andrebbe vista subito, e un solo scatto deve essere sufficiente per catturarla; forse così si ottengono meno risultati, ma il senso di eterno istante, di cattura dell’attimo, penso sia molto più gratificante; anzi…non trovo l’avverbio: quello che mi viene in mente è colmante, nel senso di riempire.
    Ma queste possono essere fisime di un vecchio fotoamatore idealista, che gli è rimasto questo modo di fotografare da quando non poteva permettersi di sprecare pellicola…

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