Poco tempo fa durante il funerale del papà di un amico, mi trovavo seduto al bordo di in una panca che dava sulla navata destra della chiesa. Durante l’eucarestia nel silenzio e nella drammaticità del momento, molte persone percorrevano tale navata scorrendo al mio fianco, assorti nella preghiera, con i capi chini e lo sguardo perso nei loro misteri.
Osservavo il loro modo di camminare, il loro modo di masticare quella cialda di farina di frumento così sacra… ero attratto dal loro modo di tenere le mani, di guardarsi intorno; ogni singola ruga, ogni singolo modo di fare era figlio di una storia diversa fatta di gioie e dolori, amori e delusioni, passioni e trasgressioni .
Mentre mi passavano accanto, mentre la voce intonava canti dalle tonalità minori, ne osservai anche l’abbigliamento, aspetto esterno e pubblico della propria identità… ne osservavo i dettagli… erano di diversa fattura, alcuni curati, altri apparentemente tali, alcuni appena comprati altri consumati dal tempo.
E poi quella scarpa troppo grande, quel tacco troppo alto, l’orlo scucito o la calza smagliata… imperfezioni così amorevoli da rendere vere e ancor più uniche quelle persone.
Io me ne stavo li, in silenzio, attonito, osservando questo continuo fluire di gente diversa, con storie distinte ma appartenenti al medesimo umano vivere…. erano come delle interpretazioni estemporanee della vita e io insieme agli altri ne ero testimone.
Tornato a casa, seduto sul divano, tra pensieri personali e duri ricordi, riflettevo: “Eppure, non sono stato dall’altro capo del mondo, non sono stato in chissà quale landa dimenticata… stavo quasi sotto casa e nonostante ciò ero attorniato da mille storie diverse, tutte, per certi aspetti, interessanti da fotografare.”
CHI SA OSSERVARE HA IL DOVERE DI RACCONTARE
Noi, semplici amatori di strada, che con le nostre macchine fotografiche amiamo cogliere gli attimi irripetibili dell’umano vivere; noi che veniamo attratti da cose semplici e che spesso veniamo accusati di leggerezza fotografica o assenza di profondità…noi streepher insomma, penso che siamo testimoni spesso “consapevoli” di questa vita; siamo come giullari, cantastorie estemporanei dell’esistenza umana, che col grottesco e l’allegoria, con la sensibilità delle forme e le composizioni, raccontano verità profonde che spesso lasciano l’amaro in bocca.
Penso che abbiamo il dovere di fotografare e continuare a farlo, ma con tutta la coscienza e la responsabilità di chi, con la propria visione, può aggiungere ulteriori tasselli al racconto dei racconti, che in molti chiamano vita.
Penso che fotografare, per certi versi, sia un atto di grande responsabilità.
Ci vediamo in strada.
Andrea