“so solo lamentarmi…gli altri scattano, gli altri producono, gli altri vincono, gli altri emergono, gli altri si espongono… gli altri corrono…gli altri… e io fuggo.”
In fotografia, quando ti fermi, quando ti metti da parte per riprendere fiato e fare il punto, quando sei sopraffatto dal “Altro da fare” rischi spesso di spostare il pensiero verso “gli altri” e dimenticare te stesso.
Allora mille pensieri ti assalgono, vedi il mondo andare avanti comunque, il tempo (s)correre senza tregua , osservi l’evolversi di tante dinamiche, scoppiare bolle, passare treni, apparire nuove stelle… allora ti senti sopraffatto, arrabbiato con te stesso, hai la sensazione che tutto ti stia sfuggendo di mano, hai paura di perdere il passo…allora come nella più classica delle agonie inizi a lamentarti…
In questo tempo ho molto riflettuto su me stesso, ho compreso come Il mio personale lamento sia nato da una insofferenza profonda, intima, quasi nascosta, da una saccenza arrogante che ha coperto il mio sguardo e celato alla mia vista il mio stesso amore: la Fotografia.
la fotografia è una amante che ti conosce profondamente e schiettamente ti mostra ciò che sei, ciò che vedi e te lo grida forte… te lo ritira fuori anche dopo tanto tempo, senza remore, senza filtri te lo sputa in faccia senza pietà
in questo tempo i miei rulli non sviluppati sono rimasti per molto tempo su quello scaffale a prender polvere, come scrigni di verità nascoste, si sono accumulati nel tempo, mentre le mie foto digitali sono passate anonime davanti al mio sguardo… il cuore non frizzava più? lo sguardo stava morendo?
No…affatto!
È vero, in tutto questo tempo, non ho mai smesso di fotografare, l’ho fatto, ho continuato a farlo, perchè la fotografia è una parte di me che non posso negare, non posso esimermi dal farlo è un’esigenza… tuttavia ho solo smesso di osservare le mie foto dopo lo scatto, ho volutamente celato al mio sguardo la mia stessa visione… inizialmente perchè mi arrabbiavo, non avevo tempo, poi ho compreso che in realtà non volevo, non volevo guardarmi dentro.
Qualche notte fa, ho riaperto lightroom e ricominciato a riguardare i miei scatti, questa volta senza fretta, questa volta senza ansia del dover fare altro, questa volta ero io e la mia fotografia… fuori c’era silenzio.
D’un tratto un fremito mi gela, ecco… la mia visione riappare… osservo stranito, provo a sfuggirle ma non riesco, per quanto amata e odiata sia, come una sirena mi attraeva. È notte, e allora mi lascio andare e mi perdo tra i suoi colori confusi e l’amara consapevolezza che quel mio sguardo è attratto, vede e coglie solo un umana solitudine, celata da un falso apparire fatto di superficialità. Sono una pessima persona penso…
Il cuore mi si stringe in petto, riaffiora tutto il sepolto, penso che è inutile continuare a scappare, sono nuovamente pronto a riaffrontare tutto, è lì che devo andare penso, è lì che ritrovo me stesso è lì che mi sento IO. Allora, non importano più “Gli Altri”, non importa più l’estetica, non importa più il dettaglio mancato, il giudizio e l’approvazione, è lì che rivivo quel tempo fermato dalla mia macchina fotografica e li che mi sento bene.
La fotografia è una panacea, la mia panacea, non posso fuggire
Nella mia fotografia sono attratto dalla vita, si… ma di essa vengo attratto sempre più spesso da quella dura esistenza che emerge in azioni o in sguardi sospesi, dai piccoli gesti e apparenti banali segnali che mostrano una nuda, vulnerabile, fragile umanità che si cela tra visi imbanditi e sempre meno virtù…
Quella notte non ho dormito, ma ne sono stato felice…adesso sto già sviluppando.
Alla prossima