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Quanto è importante oggi un sito web per un fotografo? Nell’era di una visione estemporanea, labile, momentanea, veloce, in cui l’osservazione del singolo scatto ci ruba poco più di qualche secondo, quale ruolo gioca un contenitore con “memoria storica” come un sito web? Che tipo di immagini dovremmo mostrare e come organizzarle? Quali sono i rapporti tra social, sito e pubblico…e soprattutto perchè farlo?

Solitamente queste tematiche le affronto quotidianamente per via del mio lavoro, ma quando ho ricevuto l’invito a spiegare meglio il tutto in un podcast da parte di Gianluca De Dominici, gestore del blog online di cultura fotografica “The Street Rover”, ho colto la palla al balzo e ho deciso di raccontare le mie verità.

street photography podcast - Podcast: Perché un fotografo dovrebbe avere un sito web? - fotostreet.it

L’Antefatto

A fine Luglio scorso ho ricevuto una mail da parte di un ragazzo, siciliano come me, amante dell’arte e della fotografica e lettore di fotostreet.it; nella mail c’era scritto:

“mi chiamo Gianluca e sono il proprietario di un blog che tratta di fotografia di strada e di cultura fotografica (thestreetrover.it). Seguo da anni il tuo magazine e volevo farti i complimenti per la schiettezza con cui tratti certi argomenti e per le tue immagini che sono sempre un bel vedere.

Ti contatto perché mi piacerebbe registrare insieme a te una puntata del mio Podcast. Sarebbe una chiacchierata molto gioviale e spontanea su un argomento a nostra scelta (sempre sulla fotografia di strada o temi annessi)(…)”

In quei giorni mi trovavo a Treviso, pronto per un nuovo rientro in Sicilia, tra pacchi, imballi e organizzazione viaggio… andavo veloce…troppo veloce… e dopo una “rapida risposta” lo chiamai per valutare meglio la natura della proposta, le modalità e le tematiche da trattare… alla fine, Gianluca mi propose il tema: “Perché un fotografo dovrebbe avere un sito web?” attingendo da alcune richieste da parte dei suoi lettori…

IL PODCAST

Risolte le questioni tecniche e organizzative, definito un canovaccio di scaletta degli argomenti da trattare, qualche giorno fa abbiamo registrato la nostra chiacchierata… devo dire molto piacevole!

Una chiacchierata, senza pretese, in cui racconto come tutto e nato, cosa penso sul rapporto web/fotografo e come la vedo da un punto di vista comunicativo, funzionale e tecnico… ovviamente, come mio solito… dopo i primi minuti mi sono dimenticato di essere online e ho parlato senza filtri…

Prima di lasciarvi vi invito a visitare https://thestreetrover.it/ – il blog di Gianluca de Dominici, interessante e ricco di spunti di riflessione per gli amanti della fotografia di strada.

Colgo ancora una volta l’occasione per ringraziare Gianluca per l’opportunità offertami.
Alla prossima
Andrea


PS: vi anticipo che a breve sarò online il mio “Porfolio”… un modo organizzato, per mostrare, finalmente, un corpo fotografico coerente che in qualche modo racconti la mia “bislacca” visione del mondo.

9 Comments

  • Walter ha detto:

    Ciao Andrea,
    sono lieto di leggere, nella tua risposta, che con il mio commento precedente sono riuscito a farti focalizzare meglio, un punto di vista probabilmente “non comune”, un punto di vista che “esce dal coro”, ma che è sentito e sincero.
    Come ti avevo scritto: “non c’è solo una cosa sulla quale siamo d’accordo, ma molte molte cose, decisamente più di questi scritti…”…e sono lieto che con la tua risposta, lo hai confermato.

    Anche la seconda parte del tuo commento:
    “Tuttavia converrai come me che quando una fotografia nasce…”
    … mi trova d’accordo, ma con un paio di precisazioni:

    1) La fotografia di un autore dovrebbe essere “celebrata” con l’autore e con l’espresso consenso dell’autore stesso…

    …le storie alla Vivian Maier con tutta la speculazione mediatica ed economica mi fanno rabbrividire, oltra a darmi il voltastomaco per l’enorme sbaglio sull’uso delle sue immagini.
    Ho seguito tutta la storia (e ho fatto un paio di serate in circoli fotografici con proiezione del docu-film e dibattiti), del ritrovamento delle immagini (la maggior parte delle quali, ancora nei rullini mai sviluppati, né mai fatti sviluppare dalla stessa Vivian Maier), e ho trovato tutta la storia un qualcosa di “terribile”.

    “Terribile”, per più di un motivo:

    Intanto, sono certo del fatto che non bisogna mai (sottolineo MAI) approfittare dei lavoro di altri per arricchimento personale.

    Sono inoltre certo del fatto che la stessa autrice non avrebbe mai voluto che la sua immagine (di donna e di bambinaia) fosse strumentalizzata al punto in cui è apparsa nel docu-film, dove, da quel punto di vista non ne è uscita davvero bene.

    Anche dal punto di vista fotografico, il suo pensiero, il suo modo di vedere la fotografia, le sue motivazioni per fare fotografia ecc. sono state esposte al mondo senza il suo consenso e, dai discorsi, dagli articoli (su giornali, su siti, blog, social ecc) si capisce bene che buona parte del mondo, non l’ha per niente capita.

    Lei è stata una fotografa eccezionale (e un’artista sublime), lo si vede benissimo (più di reportage urbano e di ritrattistica, che di Street come gli viene attribuito, perché la street photography è una cosa ancora diversa), ma la sua fotografia era fatta per lei stessa, non per gli altri (e anche questa è una cosa che si capisce benissimo) e questo doveva essere rispettato…in una parola, la sua fotografia doveva morire con lei (che è morta da barbona, vivendo su una panchina e mangiando scatolette di cibo per gatti), non doveva certo essere esaltata da altri dopo la sua morte e a sua insaputa, ne tantomeno dovevano essere usate le sue immagini con scopo di lucro come è stato fatto.

    2) La seconda precisazione è più complessa…
    Sul tuo passaggio:

    “Penso che più di una volontà, la quale spesso in me, ma da quello che leggo anche probabilmente in te, non sia vogliosa di mostrare le immagini; farlo diventi una nostra responsabilità, sia nei confronti della Fotografia, sia nei confronti della vita…”

    …da decenni penso a questa cosa…e nel pensarci, mi soffermo sempre sulla vera motivazione che mi fa dare il mio consenso all’uso delle mie immagini per una mostra e/o mi fa dare la mia disponibilità a tenere un incontro con l’autore presso un circolo fotografico piuttosto che un festival o un di evento, quando chiaramente questo mi viene chiesto.
    La motivazione che trovo in me, per accettare di fare una mostra o di tenere un incontro con l’autore NON è mai per interesse personale, né per soddisfazione personale, né per una qualche forma di protagonismo, né per trovare consensi o ritorni positivi dai potenziali fruitori…no, niente di tutto questo…
    …la motivazione è che dal momento che io sono a mia volta un fruitore di mostre fotografiche e di incontri di altri autori, e dal momento che ogni tanto (purtroppo non sempre) questa fruizione mi fa vivere delle emozioni (l’arte fa questo) e passare ore diverse, sentite (emozionanti, appunto)… penso che anche altri potrebbero vivere momenti simili con le mie immagini e con i miei incontri, e non ritengo di doverlo negare, se mi viene chiesto (e se le condizioni sono “consone”… concetto questo da spiegare separatamente).
    E qui, veniamo al punto…
    …tu potresti chiedermi: “perché lo fai solo se te lo chiedono altri? Perché non ti proponi tu stesso?”
    La risposta è: per due motivi.
    Il primo motivo è che io, come ti ho detto, non fotografo per gli altri, fotografo per me stesso…e, di conseguenza, non mi interessa.
    Il secondo motivo è che viviamo in un mondo dove la stragrande maggioranza fa esattamente il contrario…fotografa per comunicare… per mestiere, alcuni…per produrre arte, altri…poi… per autocompiacimento, per apparire, per ammantarsi di “vana gloria”, per i “like”, per i “followers” ecc.ecc.ecc.

    Cosa ha portato questo? Cosa porta? E cosa continuerà a portare?
    …al fatto che c’è un continuo “sgomitare” per apparire, per provare ad “emergere”…e chi sta dall’altra parte: curatori, galleristi, assessori, addetti ai lavori ecc. che hanno (o avrebbero) il compito di studiare la materia, ricercare, accogliere, promuovere… autori e opere che, se degne di nota, potrebbero arrivare ad arricchire ed emozionare i potenziali fruitori, nella maggioranza dei casi restano fermi a smistare, talvolta ad accogliere, spesso a respingere (perché ne ricevono a valanghe, a tonnellate, di richieste)…senza curarsi quasi per niente di “pesare” il valore (sempre che fossero in grado di ‘pesarlo”) di ciò che scelgono di esporre o fare emergere o dare visibilità, non curandosi neppure di dare una proporzione con l’entità dell’evento.

    A questo punto, quella responsabilità (a cui tu accennavi…), non vale nemmeno la fatica di andare dietro a quel marasma, soprattutto se a te, di tutto quel comunicare, emergere e apparire non te ne importa niente…
    …per concludere quindi, quella responsabilità la sento (e ritengo giusto sentirla… questo risulta ancora più evidente dopo 46 anni di Fotografia) solo quando mi viene chiesto, altrimenti non mi pongo nemmeno il problema…
    … perché certamente ho ben chiara una distinzione netta e precisa:

    Quando fotografo… lo faccio sempre per me stesso, mai per gli altri.

    Quando faccio mostre o incontri con l’autore…lo faccio sempre per gli altri, mai per me stesso.

    Un saluto
    Walter

    • Andrea Scirè ha detto:

      Che dire… concordo con te, pure sulla “violenza mediatica” a cui un’opera come quella di Vivian Maier sia stata soggetta. Tuttavia anche questo è un chiaro caso in cui al di la della volontà dell’autore, la condivisione di emozioni, positive o negative che siano, e di un’estetica che fa bene al cuore di chi l’osserva ha avuto il sopravvento. Nel caso specifico della Maier entreremmo nell’ambito del copyright, del diritto d’autore, della cessione di questo e della proprietà intellettuale.

      In ogni caso, come sempre osservo il lato positivo delle cose, Maier ha ispirato, commosso, emozionato e incuriosito con le sua visione della vita, milioni di persone. Il Fato ha voluto che la sua arte venisse fuori in tal momento e in tal luogo… in verità sono sempre più stanco di esprimere opinioni sulle vicende altrui, ne prendo atto, ne fruisco dei lati positivi e ritorno alla mia piccola dimensioni di uomo con una macchina fotografica al collo.

  • Walter ha detto:

    Ciao Andrea,
    secondo me, da quello che leggo, non solo sulle righe, ma anche tra le righe…non c’è solo una cosa sulla quale siamo d’accordo, ma molte molte cose, decisamente più di questi scritti, proprio sulla “visione” della fotografia, e insisto sull’evidenziare la principale differenza tra noi sull’intenzione… o meglio, su un aspetto dell’intenzionalità.

    Da quello che ho capito sulle nostre conversazioni, rivolte anche a tutti i lettori, c’è ancora un punto del mio pensiero che non sono riuscito a farti “focalizzare”, ed è per questo, probabilmente che sei tornato su un passaggio fondamentale, che credevo di aver già chiarito… ma, evidentemente non l’ho reso limpido a chi legge.

    Per chiarirlo meglio, anche se l’ho già scritto e chiarito, voglio sgombrare il campo da una cosa sulla quale siamo tutti d’accordo:

    Una fotografia, per sua natura comunica qualcosa… è evidente, è nella sua stessa intrinseca natura. E io non mi sognerei mai di dire che non è così, nè ho mai nemmeno pensato che la Fotografia (in genere) non sia comunicazione.

    Se la domanda è: “La Fotografia è comunicazione” la mia risposta è CERTO che è comunicazione… (poi aggiungo ANCHE)…
    La fotografia è comunicazione anche se chi l’ha realizzata non intendeva comunicare? Se non l’ha realizzata con quello scopo?
    La mia risposta continua ad essere CERTO, la è sempre stata, la è , e la sarà sempre fino a quando resterà traccia di questa o quella immagine, sempre che, nel corso della sua esistenza, troverà qualcuno che per qualsivoglia motivo gli capiterà di guardarla.
    Per questo sono assolutamente daccordo con te quando scrivi:

    “…Il fatto che poi tali foto agli altri comunichino qualcosa prescinde dallo scopo con cui esse sono state realizzate…”

    Questo, infatti, te l’ho gia scritto io gia nel primissimo commento (rileggi il punto dove affermo: “Questo non significa affatto che la loro Fotografia…”

    Io non ho mai negato che la Fotografia sia comunicazione..ho solo precisato che è ANCHE comunicazione, aggiungendo che non è SOLO comunicazione (ma è anche tante altre cose…).

    Di conseguenza, quando tu mi scrivi:

    “A mio avviso, ma sottolineo che è una opinione personale, mi sembra nascondersi dietro ad un dito affermare che la fotografia non sia destinata alla comunicazione…”

    …ribadisco che non hai riportato l’esattezza del pensiero. Intanto io mi riferisco a una parte di autori (moltissimi autori, me compreso, ma che sono comunque una minoranza rispetto a quelli che fotografano per “comunicare”, spinti dai loro personali e diversi motivi) che non fotografano con quello scopo; e, comunque non ho mai parlato di “destinazione” ma di intenzione, e motivazione, in fase di realizzazione…

    Ribadisco pertanto quì un dato importante: TUTTO PARTE DAL PERCHE’ SI FA FOTOGRAFIA.

    Dal momento che tu, nell’ultimo commento, sei stato così cortese di dettagliare, almeno in parte le tue motivazioni (e, devo dire che sono motivazioni molto interessanti), per farti capire meglio il mio punto di vista e per farti focalizzare meglio quell’aspetto che non ti ho (evidentemente) ancora reso intelligibile, ti accenno quali sono le mie motivazioni per fare fotografia, che senz’altro sono diverse da quelle di tanti altri…

    Io, per esempio, faccio Fotografia da 46 anni (Febbraio 1977) e non ho mai fatto fotografia con lo scopo comunicare qualcosa, mai.
    Anche se, logicamente, capita di contemplare altri generi, in questi 46 anni la mia fotografia è stata dedicata soprattutto alla “Street Photography” (da sempre) e, dal momento che non mi interessa comunicare, la mia fotografia non parte da una storia…parte dalla “vita”…
    … è quello che mi interessa…vivere la vita con un’intensità diversa… vederla, sentirla, abbracciarla, fermarla…in una parola “viverla” appunto…
    …fermare quell’attimo, dell’incredibile, insostituibile, incontestabile, indubitabile attimo in cui si condensa un autentico momento di vita…in cui si condensa il passare del tempo…o, filosoficamente parlando…il nostro passare attraverso il tempo.

    Su tutto questo, su queste motivazioni, sul sentire la “vita”, sul “viverla”, su quel momento, quell’attimo, sulla fragile, eterea, volatile ed estremamente effimera ILLUSIONE di aver fermato il tempo… ci sarebbe molto da parlare… ma per logistica, per spazio e per non annoiare i lettori, devo fermarmi a questa piccola sintesi…

    Quello che avviene dopo lo scatto a me interessa poco e niente…guardo il rullino appena estratto dalla fotocamera (perché io scatto ancora tutto a pellicola in bianco e nero, e sviluppo e stampo ancora personalmente in camera oscura) come un qualcosa di finito, lo stimolo fotografico passa oltre e va al prossimo scatto.

    Poi sviluppo i rullini, certo.
    Poi stampo delle fotografie, sicuro.
    Poi archivio tutto nel migliore dei modi, assolutamente.

    Ma tutto questo è propedeutico per rivivere in futuro un piccolo surrogato delle emozioni provate al momento dello scatto…MAI per raccontare o comunicare ad altri.
    Se succede (e quando succede) è perché me lo chiedono, MAI perché quello era lo scopo.

    Quando qualcuno viene incidentalmente a trovarsi come fruitore delle mie fotografie, capita che mi chieda di esporle o mi chieda di fare incontri con l’autore (ho fatto mostre e incontri in diverse città in tutta Italia)…ma non parte mai da me…

    Io non ho mai nascosto le mie fotografie, non ho alcuna avversione a che “altri” le possano vedere, semplicemente non mi interessa questo, e non faccio fotografia per questo…

    Infatti, non ho un sito, né un blog, ne pubblico immagini in internet…tutto questo, non mi interessa… e, con questo torniamo alla domanda del podcast e alle distinzioni che ti ho fatto nel primo messaggio.

    Infine, un paio di precisazioni sul tuo ultimo scritto:

    Quando affermi:

    “Poesie scritte e mai pubblicate, composizioni suonate e mai scritte su un pentagramma…se per l’autore esistono, se fisicamente esistono nel tempo e nello spazio in cui sono state realizzate, per il resto del mondo non esistono… per il resto del mondo non sono mai state scritte.”

    …esatto per il resto del mondo non sono mai state scritte, non esistono… probabilmente proprio perchè non c’è mai stata la volontà da parte dell’autore di farle diventare “comunicazione”, analogamente, le fotografie di chi non le ha realizzate con lo scopo di “comunicare” (se non vengono “accidentalmente” a contatto con il mondo)… per il mondo “non esistono”, non sono mai state realizzate e non sono mai diventate “comunicazione”

    E quando fai l’ipotesi:

    “…Anche perchè fare una foto e distruggerla un momento dopo equivale a non fotografare ma a godere intimamente della gestualità dello scatto e dell’idea di una sua possibile realizzazione, per me non è Fotografia Completa ma l’intenzione della Fotografia.”

    No No…nel mio caso non la distruggo affatto. E ti posso assicurare che è Fotografia Completa. Assolutamente.
    Quando faccio una foto non la distruggo, la stampo, la archivio e la conservo… ma non la distruggo NON perchè ho il desiderio di comunicare con gli altri con quella foto… non la distruggo perchè se lo facessi non potrei tornare a rivivere quel momento con quell’intensità che una stampa fotografica mi concede…
    …tutti i momenti si perderebbeo gradualmente nella memoria, confondendosi gli uni con gli altri, in una nebulosità infinita (e indefinita) che farebbe morire tutto nell’oblio…
    Le fotografie di quegli istanti, invece, ti restituiscono tutto… strade, vicoli, automobili, biciclette, persone, abbigliamenti, lampioni, atteggiamenti, smorfie, gesti, ambienti ecc. tutto rimane nitido, in quella straordinaria “correlazione tra gli elementi” e tu… rivivi tutto… in forma più attenuata alla scarica di emozione provata al momento dello scatto, ma rivivi tutto; e questa non è nemmeno una “comunicazione” verso se stesso, perchè di fatto non stai “comunicando” a te stesso… stai “rivivendo” quella specifica emozione che hai già vissuto.

    Nella speranza che quanto sopra abbia chiarito (almeno in parte) passaggi che andavano focalizzati meglio, ti chiedo di farmi sapere se ci sono punti rimasti sospesi, per i quali ti sfugge qualcosa, o se trovi ancora presenti qualche passaggio che non condividi.

    Un saluto
    Walter

    • Andrea Scirè ha detto:

      Caro Walter,
      leggendo quanto da te chiarito, devo dire che siamo sulla stessa linea e anche sulla stessa intensità espressiva. Quando dici “Se la domanda è: “La Fotografia è comunicazione” la mia risposta è CERTO che è comunicazione… (poi aggiungo ANCHE)… La fotografia è comunicazione anche se chi l’ha realizzata non intendeva comunicare? Se non l’ha realizzata con quello scopo? La mia risposta continua ad essere CERTO” sono sincero, avevo intuito l’opposto…”

      Con questo chiarimento, mi soffermo e condivido maggiormente e attentamente su quell'”ANCHE” perchè ANCHE per me è così.
      Ho cassetti pieni di fotografie da nessuno viste, ho pergamini pieni di rulli sviluppati e mai scansionati, ma osservati su una tavola luminosa con un lentino… sono queste intime e private emozioni fotografiche che rientrano in quell’ANCHE.

      Tuttavia converrai come me che quando una fotografia nasce, non ci appartiene più al 100% ma diventa un qualcosa che vuole essere liberato per volare da solo e fruire attraverso gli occhi di altri (personalmente, ho avuto molto disagio ad accettare questa cosa ndr).

      Penso che più di una volontà, la quale spesso in me, ma da quello che leggo anche probabilmente in te, non sia vogliosa di mostrare le immagini; farlo diventi una nostra responsabilità, sia nei confronti della Fotografia, sia nei confronti della vita, che con tanta gentilezza ci ha palesato quella scena da noi fermata in quel piccolo pezzetto di acetato di cellulosa.

      Forse la mia è una visione troppo romantica e altruista in contrasto con l’egoismo che muove spesso i miei scatti (questa è un’altra storia…)
      Che dire… BENE!
      Grazie per aver arricchito, ancora una volta di visioni e riflessioni questo blog!
      🙂

  • Walter ha detto:

    Ciao Andrea,
    Ti ringrazio per la risposta al messaggio; è una risposta interessante (non avevo dubbi) che mette in pista diversi argomenti da sviluppare in modo più approfondito.
    Sull’accostamento “comunicare” e “raccontare” era solo l’uso casuale di un sinonimo per caricare con leggera enfasi lo stesso concetto…per me comunicare non si ferma certamente col raccontare, ma prende lo stesso ventaglio di significati che tu stesso hai ben dettagliato (accezione a parte…solo la comunicazione verso noi stessi)

    Tu poi parli della “nostra distanza di visione” ma, da quello che leggo e che vedo, non credo che ci sia molta distanza di “visione” tra noi…credo invece, che la distanza sia di “intenzione”.
    Io sono d’accordo con te che “comunicare” con la fotografia sia tutte quelle cose…la differenza è che mentre a te interessa comunicare con la tua fotografia…a me non interessa affatto; io non fotografo con quello scopo.
    La mia motivazione per fare Fotografia non è né quella di apparire, né quella di comunicare… è altra…
    Poi, come ti ho già scritto, questo non significa affatto che quella fotografia non sia “importante”, “profonda”, “emozionante” e “comunicativa”… significa semplicemente che non è nata con quello scopo.

    Ho letto con molto piacere questo passaggio che hai fatto nella risposta (cito testualmente):

    “Ritornando all’argomento del podcast, si può benissimo fare Fotografia senza voler comunicare nulla, si può benissimo scattare senza rullino, si può benissimo anche immaginare di farlo solo con gli occhi. La libertà individuale sta proprio in questo. Ma nel momento in cui iniziamo a pubblicare sui “social” sarebbe senza senso sostenere che si fa per se stessi, come sarebbe senza senso impedire agli altri di trovare un significato o un messaggio (anche personale) nei nostri scatti postati.”

    …perché hai toccato due argomenti che ho dato per scontati, e che invece è bene chiarire:
    1) Sul fatto di scattare senza rullino, (sfondi una porta aperta) è una cosa che tutti facciamo sempre (camminando, in coda al semaforo, in autobus, in treno…sempre.) e tutte quelle immagini, che rimangono nella nostra memoria, si fermeranno sempre allo stato di introspezione, perché non potranno mai essere viste da nessuno…e non daranno mai vita a una “comunicazione” verso “gli altri”.

    Anche le fotografie che si fermano allo stato di rullini non sviluppati, o allo stato di negativi mai stampati, finanche allo stato di fotografie stampate, ma mai viste da nessuno…non daranno (probabilmente) mai vita a una “comunicazione” verso “gli altri”… perché, in tutto questo può esserci una precisa scelta dell’autore, o semplicemente una sua volontà, o ancora più semplicemente perché sono immagini realizzate per se stesso e non per gli altri e, pur non volendole sottrarre alla “visione” di altri, a lui non interessa quell’aspetto, e agli altri non è capitato di vederle o non gli hanno chiesto di vederle.
    In altri casi, può succedere che alcune di quelle fotografie, in una percentuale piccola, diventino comunicazione perché circoli, enti, associazioni ecc. lo chiedono all’autore (come è successo diverse volte anche a me) e l’autore concede le immagini per mostre o tiene lui stesso(sempre perché glielo chiedono), incontri con l’autore… ma questo per lui non è lo scopo per cui fa Fotografia, e se comunica con la sua fotografia lo fa non tanto per se stesso, quanto per gli altri, che incidentalmente sono venuti a contatto con le sue immagini e glielo hanno chiesto. Il 95% della sua produzione, tuttavia, non verrà mai vista da nessuno.
    Come già scritto, infatti, tutto dipende dal perché uno fotografa.
    2) …quando poi scrivi “…ma nel momento in cui iniziamo a pubblicare sui social, sarebbe senza senso sostenere che si fa per se stessi, come sarebbe senza senso impedire agli altri di trovare un significato o un messaggio (anche personale) nei nostri scatti postati.”
    …ecco il punto: chi fa Fotografia per se stesso…non pubblica (né sui social né da nessuna altra parte), non posta immagini nemmeno sui siti di altri, ne tantomeno, apre un suo sito.
    Per questo ho fatto quelle due distinzioni nel mio commento all’articolo…
    …a chi fa Fotografia senza lo scopo di “comunicare” avere un “sito web” per tornare al titolo dell’articolo non interessa affatto.

    Un’ultima risposta sulla frase finale del tuo commento (cito testualmente):

    Infine fotografare significa “scrivere con la luce” e nel momento in cui sporchiamo quel foglio di acetato con la luce alla fine abbiamo avviato un percorso di comunicazione.

    Perché? Se quell’immagine non verrà mai sviluppata?
    Perché? Se quel negativo non verrà mai stampato?
    Perché? Se quella stampa non verrà mai vista da nessuno? Nemmeno incidentalmente.
    Non è come quando qualcuno strimpella il pianoforte da solo in una sua casa isolata dove nessuno sente nulla e quella musica che magari sta componendo o improvvisando non viene mai trascritta o mai ascoltata da nessuno?
    Oppure, visto che hai giustamente citato l’etimologia della parola “fotografia”…
    Non è come quando qualcuno scrive 800 o 1000 poesie in tutta una vita? Poesie che nessuno ha mai letto e che nessuno mai leggerà (magari sarà lo stesso autore che le distruggerà prima della sua morte).
    Che differenza ci trovi tra quei possibili fogli di acetato, sporcati dalla luce…
    …e quelle possibili poesie?

    • Andrea Scirè ha detto:

      Ciao Walter
      Alcune precisazioni su quando scrivi:

      Io sono d’accordo con te che “comunicare” con la fotografia sia tutte quelle cose…la differenza è che mentre a te interessa comunicare con la tua fotografia…a me non interessa affatto; io non fotografo con quello scopo.

      Il mio processo produttivo è di natura “egoistica”, io fotografo come panacea per il mio animo, io fotografo come intima esigenza di palesare a me stesso la mia visione del mondo e far chiarezza scatto dopo scatto nella comprensione di quella finta umanità che ci circonda.

      Il fatto che poi tali foto agli altri comunichino qualcosa prescinde dallo scopo con cui esse sono state realizzate…sono dell’idea, e su questa opinione sono irremovibile, che comunicare è un qualcosa che è insito alla natura della fotografia stessa e nella mia visione insito nella natura di ogni cosa sia visibile.

      Che poi questa comunicazione sia voluta o dedotta è altra cosa, entriamo nel campo dell’interpretazione e della lettura visiva… ma paradossalmente anche una pietra scalfita dal vento ci racconta il suo passato e offre interpretazioni della qualità atmosferica e climatica da cui essa deriva… la sua forma non è voluta… ma frutto del suo passato.

      A mio avviso, ma sottolineo che è una opinione personale, mi sembra nascondersi dietro ad un dito affermare che la fotografia non sia destinata alla comunicazione… Anche perchè fare una foto e distruggerla un momento dopo equivale a non fotografare ma a godere intimamente della gestualità dello scatto e dell’idea di una sua possibile realizzazione, per me non è Fotografia Completa ma l’intenzione della Fotografia.

      La mia posizione a riguardo è ancora più estremista, sono sincero…ovvero ritengo la fotografia “elettronica” che non raggiunge la stampa o un supporto fisico semplicemente un “surrogato” di fotografia, un qualcosa privo di matericità, un qualcosa di incompleto e destinato a scomparire.

      Poesie scritte e mai pubblicate, composizioni suonate e mai scritte su un pentagramma…se per l’autore esistono, se fisicamente esistono nel tempo e nello spazio in cui sono state realizzate, per il resto del mondo non esistono… per il resto del mondo sono mai state scritte.

      Concludendo penso che siamo d’accordo su una cosa… la fotografia, al di la del suo fine, ci rende liberi. La fotografia ci catapulta in una dimensione intima o pubblica ma con un sempre piacevole effetto sul nostro IO. Appaga la nostra voglia di creare, di nascondere e palesare, di conservare o distruggere. Insomma tra le ARTI è quella in cui il reale si fonde con il surreale e l’immaginario, liberando anche le più intime emozioni del nostro essere umani.

      Grazie per la piacevole Chiacchierata!
      Sono molto contento che i miei spunti di riflessione, i miei post, inneschino confronti così costruttivi e di così filosofica espressione. Sono contento di avere tra i miei lettori utenti come te, è un’ulteriore dimostrazione di come questo blog sia un luogo che ispiri e inneschi confronti dotti che elevano la Fotografia tutta.

      Andrea

  • Walter ha detto:

    Mah, ho letto l’articolo, e ho ascoltato con attenzione la piacevole chiacchierata, ricca di spunti di riflessione… che però risponde solo in parte alla domanda posta dal titolo:

    “Perché un fotografo dovrebbe avere un sito web?”

    Personalmente ritengo che vadano fatte almeno un paio di distinzioni:

    La prima è tra chi fotografa per “mestiere” (e cioè ci vive con la fotografia, ci paga le tasse con tanto di partita iva…) e chi non fa Fotografia per mestiere. Nel primo caso, la risposta è automatica e non c’è bisogno di approfondire.

    Nel secondo caso (chi fa Fotografia NON come mestiere) occorre valutare una seconda distinzione, che dipende e definisce le motivazioni che spingono ognuno di noi a fare Fotografia.

    A seconda del perché “uno” fa Fotografia, si ottiene la risposta al quesito dell’articolo…ma, intendiamoci, tale risposta non è per niente universale.

    Quello che si nota, leggendo vari siti e vari blog… è la tendenza a dare per scontato che si Fotografa per “comunicare”, per raccontare qualcosa…una storia, più storie, la propria visione del mondo ecc…

    Ma non è così!

    La fotografia è “anche” comunicazione… NON È “SOLO” comunicazione.

    Ci sono moltissime persone (e io sono tra queste) che NON fanno fotografia per “comunicare”, né per “raccontare”…le loro motivazioni sono altre.
    Questo non significa affatto che la loro Fotografia non sia “grande” Fotografia, che non comunichi o che non emozioni, al contrario, è davvero una fotografia grande, importante, profonda e comunicativa… questo significa semplicemente che il loro “perché” fanno Fotografia è lontano dall’intenzione di comunicare, di raccontare, di apparire o essere conosciuti.

    Di conseguenza, per tornare alla domanda dell’articolo, per queste persone la risposta è: In effetti, non esiste proprio un motivo per avere un sito web…non mi interessa averlo e non ne sento affatto il bisogno.

    In uno dei passaggi “chiave” della vostra chiacchierata, si sente un’affermazione (cito testualmente dal minuto 14,22):

    “oggi diventa Sono sul web dunque esisto… Fondamentalmente se oggi un autore piccolo o grande che sia, non ha una presenza on-line, ai più, se non agli addetti ai lavori, ma ai più, alla grande massa che poi è quella che muove le cose, rimarrà sconosciuto”

    …che è un’affermazione diretta apparentemente in un unica direzione, come se dicesse “se fotografi vuoi comunicare” oppure “se fotografi vuoi essere conosciuto” ecc…

    Ma non è così…
    Come ho già scritto (qualche giorno fa) in un altro articolo di questo sito (quello della Street come approccio alla vita, che però non vedo ancora pubblicato il commento):

    Si può benissimo fare Fotografia senza per forza voler dire o comunicare alcunché.

    In questo caso, un sito web non serve a niente.

    • Andrea Scirè ha detto:

      Salve Walter, grazie per i tuoi sempre così attenti messaggi.
      Non mi torna qualcosa… tu scrivi che “la fotografia è anche comunicazione…NON E’ SOLO comunicazione”, e poi associ tale tua osservazione attribuendo alla parola “comunicare” il solo senso di raccontare.

      Secondo me la nostra distanza di visione, sta proprio nel senso che ognuno di noi assegna alla parola “comunicare”. Da quello che scrivi sembra che tu limiti il termine “comunicare” al solo passaggio unidirezionale di informazioni, che nel mio modo di intendere equivale alla parola “divulgare”. Racconta un ritratto, racconta una foto di documentazione, racconta un reportage o anche uno still life… ma non tutta la Fotografia, racconta qualcosa, spesso essa si ferma a percezioni e sensazioni emozionali intime o comuni che possono essere percepite ma anche interpretate a proprio modo da colui che ne prende visione. La street photography, come approccio fotografico, si presta anche a questo.

      Alla parola “comunicare” io, ma penso non solo io, attribuisco dunque un significato molto più ampio, comunicare per me significa coinvolgere su una tematica che si svolge nello spazio e nel tempo un interlocutore, che nel caso della fotografia è colui che l’osserva. Comunicare con la fotografia per me significa scambiare visioni, percezioni, sensazioni, emozioni, significa palesare sotto una qualsivoglia forma estetica un qualcosa. Se poi questo qualcosa nasce da una nostra intima esigenza non rivolta agli altri è solo un dettaglio; perchè in questo caso l’interlocutore saremo noi stessi.

      La domanda postami nella talk era proprio rivolta all’apparire e non all’essere, e in questo caso, qualunque sia la spinta che ci porta allo scatto, se vogliamo “apparire”, il web è il medium oggi necessario. Ed è proprio per questo medium che Apparire oggi diventa “esisto” per gli altri. Che tu sia un professionista o un amatore se vuoi apparire o “esistere” nell’immaginario comune devi stare anche online.

      Altra questione è ESSERE. Ogni giorno scatto delle immagini, ogni giorno scansiono dei negativi, periodicamente sviluppo le mie visioni in camera oscura e chiara…tutta questa mole di contenuti, intimi e personali, me li godo in una mansarda al chiaro di luna e come avrai vista difficilmente pubblico… il mio interlocutore in questo caso sono io stesso.

      La percezione degli altri, la domanda che più spesso mi viene posta è :”stai scattando meno?”. Per me la percezione è invece “sono libero di essere e non di apparire”.

      Ritornando all’argomento del podcast, si può benissimo fare Fotografia senza voler comunicare nulla, si può benissimo scattare senza rullino, si può benissimo anche immaginare di farlo solo con gli occhi. La libertà individuale sta proprio in questo. Ma nel momento in cui iniziamo a pubblicare sui “social” sarebbe senza senso sostenere che si fa per se stessi, come sarebbe senza senso impedire agli altri di trovare un significato o un messaggio (anche personale) nei nostri scatti postati. Come ogni opera dell’ingegno, nel momento in cui viene resa pubblica, ne perdiamo la proprietà cognitiva e la offriamo in pasto alle infinite interpretazioni del mondo che la osserverà.

      Se abbiamo un’idea chiara della nostra visione, un sito personale ci aiuta, per certi versi, a rimanere sui binari, a generare un corpo di immagini solido e caratterizzante della nostra visione “autoriale”… ma comunque non ci permette di NON comunicare. Perchè le emozioni suscitate dalla visione, per quanto sopra scritto, a mio avviso sono sempre una forma di comunicazione.

      PS: Il tuo precedente commento è stato pubblicato un’ora dopo la sua scrittura con relativa risposta. Non sono solito non pubblicare ciò che viene scritto su fotostreet.it, perchè sono i commenti che rendono ancor più interessante la scrittura.

      Infine fotografare significa “scrivere con la luce” e nel momento in cui sporchiamo quel foglio di acetato con la luce alla fine abbiamo avviato un percorso di comunicazione.

  • Gianluca De Dominici ha detto:

    È stato un vero piacere Andrea! Grazie per gli innumerevoli consigli dati a me e a tutti gli ascoltatori.

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